AI History: grandi aspettative iniziali e prime difficoltà

AI history

Era il 1956 quando il matematico statunitense John McCarthy coniò il termine Intelligenza Artificiale (in inglese Artificial Intelligence, AI), durante la conferenza al Dartmouth College, nel New Hampshire in America. 

In tale occasione questa nuova disciplina venne fondata programmaticamente e, nonostante la conferenza non andò come gli organizzatori si aspettavano (McCarthy su tutti), questa ebbe una notevole importanza storica. L’incontro tra gli studiosi che vi parteciparono fu stimolante e proprio da loro (e dai loro studenti) si ottennero i principali successi in questo campo. 

Insomma, è dopo la conferenza di Dartmouth che l’AI diventò a tutti gli effetti un campo di ricerca intellettuale e, per quanto controverso, da quel momento iniziò a progredire sempre più rapidamente.

Continua il nostro viaggio nella storia dell’Intelligenza Artificiale.

 

L’entusiasmo e i successi del primo periodo d’oro dell’AI (1956-1974)

I programmi sviluppati negli anni successivi al Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence erano, per la maggior parte delle persone dell’epoca, semplicemente sorprendenti.

I computer, più veloci, economici e accessibili, riuscivano a immagazzinare più informazioni ed erano in grado di risolvere problemi di algebra, dimostrare teoremi in geometria e addirittura imparare a parlare una lingua. 

A quel tempo pochi avrebbero creduto che un simile comportamento “intelligente” da parte delle macchine fosse possibile, ma dal 1957 al 1974 ci fu una “fioritura” dell’Intelligenza Artificiale .

I ricercatori erano vivamente ottimisti e alcune agenzie governative come la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’ente che si occupa dello sviluppo di nuove tecnologie per uso militare, investirono decine di milioni di dollari in progetti di AI presso diverse università. Bisogna considerare che, in piena guerra fredda, avere una macchina in grado di trascrivere e tradurre la lingua (russa in questo caso) sarebbe stato un vantaggio non indifferente per il governo americano.

La ricerca scientifica focalizzata sull’Intelligenza Artificiale, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’60, seguì dunque percorsi e sviluppi differenti.

 

Ragionamento e problem solving

Molti dei primi programmi AI usavano un algoritmo per raggiungere un obiettivo (vincere una partita a scacchi oppure dimostrare un teorema), procedendo per deduzioni secondo un paradigma chiamato “Reasoning as search” (letteralmente “ragionamento come ricerca“).

Nel 1957 Allen Newell e Herbert Simon provarono a elaborare una versione generale di questo algoritmo producendo il General Problem Solver (GPS), un meccanismo che si ispirava al ragionamento umano. Tramite un procedimento logico che partiva da determinate premesse e regole, e che si avvicinava alle strategie di problem solving, il GPS poteva agire e manipolare oggetti all’interno della rappresentazione di una stanza e, ad esempio, raggiungere un oggetto appoggiato su un tavolo impilando due sedie.

 

L’elaborazione del linguaggio naturale

Un obiettivo importante che si posero i ricercatori dell’AI fu quello di consentire ai computer di comunicare in lingue naturali come ad esempio l’inglese. 

Tra il 1964 e il 1966 Joseph Weizenbaum creò ELIZA, una pionieristica applicazione dell’elaborazione del linguaggio naturale. La macchina, una parodia di un terapeuta rogersiano, era in grado di simulare conversazioni realistiche con esseri umani usando regole di ricerche per corrispondenza (pattern matching). Sostanzialmente semplici parole chiave venivano analizzate e sostituite da frasi preconfezionate, in buona parte rispondendo al paziente con domande ottenute dalla riformulazione delle affermazioni del paziente stesso. Così, per esempio, alla frase “Mi fa male la testa” il programma poteva ribattere con “Perché dici che ti fa male la testa?” oppure la risposta a “Mia madre mi odia” potrebbe essere “Chi altro nella tua famiglia ti odia?”

A seconda delle frasi che l’utente immetteva in ELIZA, l’illusione di un interlocutore umano veniva smascherata o poteva continuare per diversi scambi di battute. Talvolta risultava talmente convincente che alcune persone erano così convinte di comunicare con un essere umano, da continuare per parecchi minuti.

ELIZA Chatterbot
Prima di Siri e Alexa, c’era ELIZA.

ELIZA viene ricordata non solo come la prima chatterbot (o chatbot) ma anche come un passo fondamentale nella storia della AI: fu la prima volta in cui si sviluppò un’interazione uomo-macchina con l’obiettivo di creare un’illusoria conversazione tra esseri umani.

 

Robotica

Nel 1972 in Giappone, all’Università di Waseda fu costruito il primo robot antropomorfo chiamato WABOT-1. Le sue caratteristiche includevano mobilità degli arti (poteva camminare con gli arti inferiore e afferrare e trasportare oggetti con quelli superiori), capacità di vedere (tramite ricettori esterni era in grado di misurare la distanza e la direzione degli oggetti) e capacità di conversare (poteva comunicare con una persona in lingua giapponese).

WABOT-1
WABOT-1, WAseda roBOT.

Il primo inverno dell’AI (1974-1980)

Molti scienziati credevano che già negli anni ‘80 si sarebbero costruite macchine completamente intelligenti in grado di svolgere qualsiasi compito un uomo potesse fare. Le aspettative e le speranze degli scienziati però si rivelarono troppo rosee ed ambiziose. Proprio negli ambiti che sembravano più semplici, come la traduzione automatica o la riproduzione del linguaggio naturale, l’AI incontrò le maggiori difficoltà

Si pensò infatti che fosse possibile realizzare traduzioni automatizzate tramite una semplice manipolazione sintattica, cosa che si rivelò essere sbagliata. Il metodo impiegato portava molto spesso a risultati grotteschi, come la traduzione dall’inglese al russo che da “The spirit is willing, but the flesh is weak” (lo spirito è forte, ma la carne è debole) diventò “The whiskey is strong, but the meat is rotten” (il whiskey è forte, ma la carne è andata a male).

Il fallimento di questi tentativi iniziali fu sancito dal report ALPAC (Automatic Language Processing Advisory Committee), un rapporto al governo americano nel 1966 che stabilì un taglio dei fondi a molti progetti di ricerca sull’AI. Il DARPA, che aveva investito molto nella ricerca sull’AI nella speranza che fosse possibile tradurre articoli scientifici dal russo all’inglese, abbandonò per mancanza di risultati.

Computer-translation_Briefing_for_Gerald_Ford
Briefing per il Vice Presidente degli Stati Uniti Gerald Ford nel 1973 sui modelli di traduzione automatizzata.

Altre complicazioni erano legate al limitato potere di calcolo delle macchine. La mancanza di potenza computazionale dei computer di quel tempo non permetteva di memorizzare abbastanza informazioni e quantità di dati, e allo stesso tempo di elaborare questi ultimi velocemente

Anche i migliori programmi sviluppati furono in grado di gestire solamente problemi banali, poiché la quantità di potenza di elaborazione necessaria per risolvere problemi più complessi andava ben oltre ciò che i computer potessero fare al tempo. Ad esempio, uno dei primi sistemi di intelligenza artificiale che analizzava la lingua inglese era in grado di gestire un vocabolario di sole 20 parole, perché non poteva immagazzinarne altre nella propria memoria.

L’entusiasmo dei primi anni cominciò a calare e il sogno di costruire delle macchine “intelligenti” venne momentaneamente accantonato. Si entrò così nel cosiddetto primo inverno dell’Intelligenza Artificiale, nel quale ci fu una grande scarsità di finanziamenti da parte del governo per le ricerche AI e l’interesse generale nei confronti di questo campo ambizioso diminuì.

 

Negli anni ’80 però un nuovo modo di fare Intelligenza Artificiale prese piede e diventò il fulcro della ricerca AI, sancendo l’uscita da questa momentanea fase di stallo: nacquero i Sistemi Esperti.

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